In foto
Alissa Marchenko, Ocra dei miei ieri, 2024. BIANCHIZARDIN, Milano. Credits Agata D'Esposito
Alissa, il tuo progetto “Ocra dei miei ieri” è il risultato di esperienze personali in particolare dei tuoi spostamenti attraverso alcuni paesi dell’Europa dove hai raccolto il materiale da cui è nato il progetto. Questi movimenti come nascono, sono premessa di una ricerca già in atto o una conseguenza?
Questo progetto presentato da BIANCHIZARDIN, è legato ad un percorso personale e molto intimo, in cui la pratica artistica è iniziata in modo naturale. Come persona e artista Ucraina, a causa della guerra, sono stata costretta anche io a spostarmi.
Sono nata e cresciuta a Kiev e dal 2013, all’inizio delle tensioni tra i due paesi, per 8 anni ho vissuto in Polonia. All’escalation del conflitto, mi sono spostata ancora più ad ovest, fino ad arrivare poi in Italia.
Come migrante vivo l’esperienza di non avere e non appartenere ad un solo posto, neanche in Ucraina mi sento a casa mia al cento per cento. Perdendo la mia identità, ne sto ricreando una nuova come ibrido culturale che assorbe dai Paesi in cui la mia vita mi conduce. Qui, nei Paesi in cui mi ritrovo, ho imparato a registrare i miei spostamenti.
Non vado da nessuna parte con un motivo preciso, mi sposto perché devo spostarmi e lì dove mi sposto raccolgo erba, fiori, piante.
In foto
Alissa Marchenko, Ocra dei miei ieri, 2024. BIANCHIZARDIN, Milano. Credits Agata D'Esposito
Appunto l’erba, anzi le erbe che ritroviamo in varie forme nei tuoi ultimi lavori. Perché questi elementi?
L’atto del raccogliere risale alla mia infanzia, quando sentivo questa necessità di spostare qualsiasi cosa da un punto all’altro. Forse era un modo per tenerne traccia nella mia memoria.
Poi riflettendo sulla mia ricerca, ho iniziato a raccogliere materie come erbe e fiori, portandole con me da un paese all’altro. Tra questi, l’erba è quello che più di tutte rappresenta correttamente quello che voglio trasmettere con i miei lavori: l’erba cresce dalla terra e in particolare il filo d’erba esce proprio dalla terra, da un suo punto geografico specifico che poi è quello in cui io mi trovo.
Allo stesso modo mi affascina che l’erba sia stagionale, cresce in una stagione ma poi svanisce in un’altra. Per me l’erba è un riferimento sia allo spazio che al tempo, perché materia che cresce in un dato momento e in un dato punto geografico.
Arriviamo alla creazione delle opere esposte che sono il risultato di un processo di creazione e distruzione. Sei partita dalla materia raccolta e ne hai dato una forma per poi darne un’altra …
Il processo segue quasi l’andamento delle stagioni: in alcuni periodi realizzo delle sfere con l’erba, rami e fiori raccolti e poi le metto da parte. E’ come raccogliere e custodire dei ricordi durante una stagione, un periodo di vita, e ripercorrerli come in un atto meditativo.
Le sculture che realizzo infatti si chiamano “scrigni dei pensieri”. Iniziata in Polonia, questa pratica di raccolta l’ho ripresa nel 2021 e penso di portarla avanti durante gli anni, forse fino a che non mi “fermerò”.
Dopo averli creati, questi scrigni, li hai distrutti ricavando nuova materia e nuove opere.
“Ocra dei miei ieri” è nato dall’idea di distruggere sette opere del mio periodo polacco, nel 2021 prima della guerra. Era un realtà assolutamente diversa da quella che vivo oggi, in cui volevo lasciare il passato alle spalle e guardare avanti.
Sentivo il bisogno di elaborare e di trasformare le esperienze vissute fino ad allora e ho deciso di distruggere le sculture che le rappresentavano per ricavarne altra materia.
Prima però ho deciso di studiarle, come facevo in accademia prima di modellare qualsiasi scultura: ho iniziato con il disegnare su carta tutti i lati delle sfere creando delle copie dal vero, per memorizzarle. Una volta terminati i disegni, ho distrutto i lavori e con le loro polveri pigmentate ho iniziato a fare esperimenti sulla carta e sulle tele.
Ho poi scelto la carta perché ho mescolato questi pigmenti con l’acqua come se fosse acquarello, che è una tecnica che permette di giocare con l’intensità delle linee.
Lo sviluppo successivo è stato quindi quello di trattare i pigmenti come materia in sé: ho preso dei pezzi più spessi e realizzato degli ornamenti usando i pigmenti a mo’ di argilla come se fossero qualcosa di scultoreo.
E così dalla combinazione di queste due tecniche, è venuta fuori questa serie di disegni, risultato di una bella avventura e scoperta delle diverse possibilità d’uso di questo materiale.
In video
Alissa Marchenko, me go around, 2024.
In mostra, alla fine del percorso, è stato presentato anche un video in cui i momenti del fare e disfare dei tuoi scrigni del pensiero scorrono al contrario.
Per me l’arte è soprattutto un processo che vivo: l’arte fa parte della vita e la vita fa parte dell’arte. Per questo raccogliere l’erba per me è un processo essenziale in tutta la mia pratica. Io molto spesso interagisco con la materia che uso e in questo modo si creano delle performance, che spesso presento dal vivo o documento attraverso dei video o foto per lasciare traccia del processo, che è importante tanto quanto l’opera. In questo caso, per esempio, il processo di distruzione è centrale nel progetto motivo per cui ho deciso di documentare il momento stesso della distruzione delle sculture.
L’ho fatto solo una volta, perché appunto distruggere un oggetto lo puoi fare solo una volta. Nel momento del montaggio, però ho deciso di applicare un’inversione cosicché quando lo si guarda si pensa di essere davanti ad un processo di creazione. E’ la distruzione che diventa creazione.
Durante la vita, quando si fa a raso tutto, a volte si ha voglia di ricreare e ritornare al punto iniziale, anche se non è più possibile. Questo video, questo gesto che è un modo per creare questa utopia dell’inversione, è stato un gesto finale di tutto il progetto. L’ho realizzato solo 3 giorni prima dell’inaugurazione e mi sono detta: “sì ho concluso il progetto, sì ho distrutto le opere, sì ho elaborato la materia creando una nuova, però in fondo vorrei tornare indietro”.