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Fernweh, il Grand Tour audiovisivo di Friedrich Andreoni e Roberto Casti

Alla Casa degli Artisti di Milano, Friedrich Andreoni e Roberto Casti reinterpretano, con spirito contemporaneo, l’eredità del Grand Tour: non un semplice viaggio, piuttosto un’esplorazione di luoghi e idee che si nutre di collaborazioni e connessioni globali. Fernweh – dal tedesco: /ˈfɛɾnˌveː/ – richiama la nostalgia per l’ignoto, il desiderio struggente di un altrove mai vissuto, un concetto che i due artisti traducono in un percorso visivo e sonoro in dialogo con il passato e il presente. L’esposizione propone un viaggio che, come quello del Grand Tour settecentesco, si nutre di incontri e scambi. La ricerca contemporanea proposta da Andreoni e Casti si sviluppa in un cammino aperto, dove il viaggio stesso diventa il fine, alimentato dalle esperienze condivise e dai legami che creano l’opera.

Un viaggio tra luoghi e suggestioni

Il viaggio – fisico e immateriale – è il cuore pulsante della pratica artistica di Andreoni e Casti. Se il Grand Tour settecentesco era un itinerario culturale centrato sull’Europa, il loro percorso oltrepassa i confini tradizionali, attraversando città come Berlino, Milano, Atene, Beirut, Chicago. È grazie a queste connessioni che Fernweh prende forma, costruendo una mappa emotiva che intreccia memorie personali e collettive. “Non c’è un luogo preciso da raggiungere,” spiega Andreoni. “È la sensazione di ricerca stessa a guidarci.” Per Casti, invece, “Ogni collaborazione è una tappa del nostro percorso, una lente attraverso cui vedere il mondo con occhi diversi, connettendo luoghi lontani e costruendo comunità”.

Nell’intervista, i curatori Andrea Elia Zanini e Caterina Angelucci, ci raccontano di come l’idea del progetto sia nata da una riflessione condivisa, ispirata da una lettura de I Privilegi di Stendhal (1840). In particolare, la frase dello scrittore che recita: “Dieci volte l’anno il privilegiato potrà essere trasportato dove vorrà, a cento leghe l’ora; durante il trasporto dormirà” ha suscitato l’osservazione sul desiderio di un altrove. Il concetto di Fernweh, nostalgia per un luogo lontano, è quindi un richiamo a questa aspirazione universale di essere altrove.

In foto

Una riflessione sull’intersezione tra spazio, tempo e suono

Fernweh trova la sua forza nella dimensione collaborativa. Friedrich Andreoni esplora l’astrazione sonora con opere come Untitled, una scultura evocativa composta da antenne in alluminio, e Ending Times, dove frammenti di inizio e fine di colonne sonore cinematografiche si trasformano in paesaggi sonori astratti. Per Ending Times (2023) l’artista si ispira all’uovo di Piero della Francesca nella Pala di Brera, proponendo un’installazione sonora che esplora la percezione del tempo. Una cassa che scende dal soffitto si fa portatrice di un loop infinito: una sequenza di cinque secondi da celebri colonne sonore si ripete incessantemente. Il ciclo continuo getta così lo spettatore in un tempo che non sembra finire mai, rimane sospeso, a metà tra l’inizio e la fine.
Accanto a questa riflessione sul tempo, troviamo I’m Ready (2022), una ricetrasmittente radio usata dalle forze di sicurezza statunitensi, messa a terra come abbandonata. Questo dispositivo ripete in loop la frase I’m ready, pronunciata da un musicista prima di entrare in studio. Questa espressione, ormai penetrata nella cultura popolare e cinematografica, è intrisa di un’aspettativa che si fa domanda, un passaggio carico di tensione tra l’attesa e l’azione. “Pronto per cosa?”, è la domanda che persiste.

Nel suo progetto Aleph (2023 – ongoing), Roberto Casti continua a esplorare il legame tra l’interno e l’esterno. Con Aleph, l’artista raccoglie suoni da diverse città e li modifica, rallentandoli per creare tappeti sonori che sembrano sfumare i confini tra spazio e tempo. Le tracce, riprodotte attraverso oggetti che di solito restano nascosti come tubi di scarico o condotti per l’aria, diventano amplificatori improvvisi di suoni, facendo emergere ciò che di solito non vediamo o sentiamo. Questi “oggetti” anonimi, trasformati in strumenti musicali, ci invitano a riflettere su come percepiamo lo spazio che ci circonda e su ciò che resta ai margini della nostra attenzione quotidiana.
Alla Casa degli Artisti, Casti presenta una nuova versione di Aleph, realizzata in collaborazione con Maya Aghniadis, musicista libanese che vive ad Atene. La loro collaborazione dà vita a una composizione di suoni rilassati, creando un’atmosfera che invita il pubblico a un’esperienza multisensoriale. In questo spazio suono e luce si uniscono, l’installazione dispositivo coinvolgente e personale.

L’installazione performativa Aleph (Milano-Berlino-Lisbona-Milano) include una macchina da scrivere su cui il pubblico è invitato a scrivere delle domande. Ogni domanda si aggiunge a una lista avviata durante la mostra di Berlino e ampliata durante la residenza artistica a Lisbona. Le interrogazioni esplorano il nostro posto nel mondo e nel tempo, dando vita a un testo in continuo cambiamento. L’opera diventa così opportunità di riflessione sulla nostra condizione esistenziale, che assume consapevolezza e si interroga sull’epoca in cui viviamo.

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Un invito a perdersi nel desiderio di esplorare

Fernweh è un viaggio catartico che invita a confrontarsi con il proprio senso di appartenenza e desiderio di scoperta, con un atto di resistenza contro la routine quotidiana straniante, condizione presente soprattutto negli ambienti urbanizzati; è un invito a lasciarsi trasportare dalla nostalgia per ciò che non conosciamo, abbracciando l’ignoto come opportunità di riflessione, scoperta e creazione.

In Fernweh, la mostra diventa un’esperienza collettiva che intreccia vite, spazi e tempi, mantenendo viva la tensione verso il lontano. Come per Stendhal, che nel suo scritto parlava della possibilità di viaggiare istantaneamente con la mente, Andreoni e Casti ci invitano a fare lo stesso, attraverso un’esperienza visiva e sonora alimentata dal richiamo dell’ignoto e la voglia di esplorare, senza una destinazione definita.

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