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PREVIEW: LEAVING NO TRACE di Ditte Ejlerskov & Pedro Matos | Galleria Bianconi

Attraverso una presentazione generale a cura di galleriste, curatori e direttrici di spazi dell’arte e approfondimenti con le parole delle artiste e degli artisti protagonisti di alcune mostre da noi selezionate, “Exhibition preview” vi guiderà in una serie di tour immaginari nelle gallerie milanesi.

In questo primo appuntamento abbiamo parlato con la gallerista Renata Bianconi e gli artisti Ditte Ejlerskov e Pedro Matos.

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Installation view: Ditte Ejlerskov & Pedro Matos, Leaving no trace, 2021. Galleria Bianconi

Potresti parlarmi della mostra, attraverso una serie di aggettivi/immagini, in modo da suggerire e anticipare quello che i nostri lettori vedranno non appena le gallerie riapriranno al pubblico e potranno scoprire la mostra di persona?

Renata Bianconi:La mostra “Ditte Ejlerskov & Pedro Matos. Leaving No Trace” pone in dialogo fra loro due artisti internazionali rappresentati dalla Galleria Bianconi, la danese Ditte Ejlerskov (1982) e il portoghese Pedro Matos (1989). L’intero progetto è incentrato sul processo di sottrazione e annullamento dell’immagine nella pittura contemporanea. “Leaving no trace” è il titolo della mostra in cui il senso di “traccia” è indagato, come scrive nel testo di presentazione il curatore Domenico de Chirico, da due differenti punti di vista: quello della presenza accennata, del lascito, dell’accenno, che emerge potente dal lavoro di Pedro Matos e quello, atmosferico e intimo, della rimozione, della non-presenza, che connota l’opera di Ditte Ejlerskov. Le opere esposte, tutte inedite e appositamente prodotte per la mostra, sono state volutamente realizzate dagli artisti in due formati verticali uno di grandi dimensioni, cm 180×160 e uno, più piccolo e domestico, di cm 40×30. L’allestimento è fluido e dinamico, non presenta le opere per singoli compartimenti stagni, ma crea un percorso che passa armoniosamente, come una sinfonia musicale le cui note sono però i passaggi tonali, dalle vibranti campiture di colore di Ditte Ejlerskov alle nuove figurazioni astratte dei graffiti di Pedro Matos.

Il titolo della mostra è “Leaving no trace”, nel tuo caso da intendersi come una traccia appena accennata, di cui non rimane altro che un lascito.
In che modo questa tematica si riflette sulle opere esposte?

Pedro Matos: Esatto, è un’idea che ritorna spesso nei miei dipinti, lasciare una traccia, un segno, lottare per l’eternità e allo stesso tempo, essere completamente effimero, ma in un modo ironico. Il titolo della mostra “Leaving No Trace” è nato da una conversazione tra Domenico de Chirico, Ditte ed io, in cui il punto di partenza è stato un lavoro che ho realizzato con delle scritte in vinile che recitano “Leave No Trace”. Inizialmente conoscevo questa espressione come associata al trekking in montagna o agli esploratori della natura che la utilizzano come messaggio scritto in modo da ricordarsi l’un l’altro di non lasciare rifiuti, e preservare l’habitat naturale così com’è. Mi ha incuriosito molto questa chiave di lettura ma al tempo stesso la relazione che la frase potrebbe avere con un’altra mia serie di “graffiti paintings” – oltre ad a varie suggestioni che potrebbero nascere – come coprire le proprie tracce, passare inosservati, e così via. “Leaving no trace” è un concetto molto aperto. Era anche il perfetto punto di ancoraggio tra il lavoro di Ditte e il mio, come è splendidamente esplorato nel saggio di Domenico. Questo modo di concepire la traccia presenta molteplici punti di vista e non vorrei suggerirne uno piuttosto che un altro.

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Ditte Ejlerskov & Pedro Matos, Leaving no trace, 2021. Galleria Bianconi

Vorrei parlare dei tuoi “Dream Gradiens”, in che modo ottieni queste superfici sfumate di colori, e, in generale, che cosa motiva la tua scelta nell’uso dei colori (considerando che poi verranno continuamente alterati dal riflettersi della luce?)

Ditte Ejlerskov: Per dipingere utilizzo un grande pennello morbido, adatto per la verniciatura dei pavimenti. Applico infiniti strati di materia e pigmento – una ricetta segreta su cui ho lavorato per anni. Se la miscela è leggermente diversa da quella che utilizzo solitamente, diventa più difficile per me lavorare e potrei aver bisogno di applicare molti altri strati per ottenere l’effetto che desidero. Quello a cui aspiro è un’opacità vaporosa e un gradiente delicato ma, dato che non cerco un risultato come quello che si ottiene con l’aerografo, non voglio che le opere perdano l’effetto manuale che il lavoro con il pennello comporta. Quando mi approccio ad un nuovo dipinto, comincio con l’utilizzare solo dei pigmenti, e così prende avvio il mio processo creativo. Non pianifico o rifletto su quello che scelgo. Sono convinta che la mia mano selezioni qualsiasi colore di cui ho bisogno per stabilizzare la mente e il corpo in quel determinato momento. Di conseguenza, non pianifico mai le mie mostre, ma dipingo ciò che ho bisogno di dipingere. Nel corso del processo inoltre, effettuo dei cambiamenti nell’utilizzo dei colori. Applico strati dove ho corretto il pigmento nella miscela. A volte ho bisogno che il colore centrale si comporti in modo leggermente diverso da come risulta sulla tela, quindi cambio entrambi i colori di miscelazione in modo abbastanza drastico. Non è un qualcosa che faccio consapevolmente. Succede e basta. Penso che questo approccio istintuale al colore sia ben illustrato da diverse antiche filosofie indiane. Infatti il termine “cromoterapia”, il cui significato è quello di terapia tramite l’ausilio di colori, è originario dell’India. Inoltre, nel 1025, il pensatore persiano Avicenna considerava i colori come un fattore decisivo sia nella diagnosi che nel trattamento di varie patologie. Mi piacerebbe che questa pratica fosse presa più seriamente anche oggi. Per diversi anni mi sono impegnata in un processo di depurazione della mia vita e della mia produzione artistica da influenze esterne come la cultura mainstream, la politica e la negatività generale. Questo è diventato ancora più necessario durante i preparativi per la nascita del mio secondo figlio, dopo un’esperienza traumatica la prima volta. Ero così spaventata. Mi sentivo persa. Questo metodo di pittura mi ha aiutato molto nel riequilibrare il mio chakra della radice.

I lavori presenti nello spazio, nonostante sia a livello visivo sia a livello semantico presentino caratteristiche opposte, dialogano perfettamente tra loro. Quali aspetti delle tue opere vedi valorizzati o messi in discussione attraverso questo dialogo con Ditte?

P.M.: Penso siano molti gli elementi del mio lavoro a venire valorizzati dal dialogo con le opere di Ditte. A partire dagli aspetti formali del colore, la scala, il formato, la tecnica pittorica, la piattezza, la rimozione della mano dell’artista, il modo in cui la pittura “analogica” è informata dalla tecnologia, e così via… Inoltre credo che per entrambi l’approccio alla pittura passi attraverso un processo spirituale e contemplativo. Tutti questi aspetti accomunano i nostri lavori e hanno alimentato l’idea di realizzare una mostra collettiva come questa. Tuttavia, non vedo come un dialogo possa mettere in discussione il frutto di una produzione artistica in modo negativo. Ogni lavoro è un lavoro individuale. In questa esperienza espositiva le nostre opere vivranno insieme nello stesso spazio per un tempo limitato, e questa relazione le rende culturalmente e contestualmente più ricche, ma continueranno a vivere in modo indipendente e incontrastato dopo la mostra. È un’esplorazione, un esercizio, un suggerimento, che non definisce ogni singola opera o artista.

I lavori presenti nello spazio, nonostante sia a livello visivo sia a livello semantico presentino caratteristiche contrastanti, dialogano perfettamente tra loro. Quali aspetti delle tue opere vedi valorizzati o messi in discussione attraverso questo dialogo con Pedro?

D.E.: Penso che il processo di elaborazione delle tracce nei nostri dipinti costituisca il punto di partenza per un dialogo efficace. Pedro studia i segni e le tracce, li analizza, li mappa. Si tratta dunque di tracce umane. Gesti eseguiti in modo apparentemente disattento o frettoloso dalle mani delle persone diventano oggetto del suo lavoro. Inoltre, per quanto frutto di un gesto istintivo, i graffiti che studia ci raccontano qualcosa sullo stato d’animo di una persona. Si tratta di un’impronta immediata di un sentimento mentale: “SARA”, “SESSO”, “IO SONO”. Con le mie mani, con il “mark-making” cerco di eliminare la mia stessa traccia. Attraverso una fusione delle due fasi del processo. Lasciando dei segni però sto anche mappando la mia condizione umana. Le mie emozioni. Non intenzionalmente, ma stratificando e utilizzando i colori che scelgo istintivamente. Trovo affascinante la distanza tra che si frappone tra i nostri due approcci, i quali risultano molto diversi per quanto riguarda il nostro modo di vedere il mondo, di mappare la condizione umana e di dipingere. E poi, l’accostamento delle nostre opere risulta molto gradevole agli occhi .

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Ditte Ejlerskov & Pedro Matos, Leaving no trace, 2021. Galleria Bianconi

La mostra, presentata da un testo di Domenico de Chirico, sarà aperta su appuntamento alla Galleria Bianconi di Milano, via Lecco 20, dal 20 Gennaio al 31 Marzo 2021, per appuntamenti scrivere a office@galleriabianconi.com.